giovedì 29 settembre 2011

Il convolvolo

Cita un vecchio proverbio l'occasione fa l'uomo ladro.
Quanto ciò risponda a verità non voglio indagare, mi soffermerei piuttosto su ciò che dovrebbe rappresentare il mai davvero imparato sentimento della compassione. Ma lo intendo davvero nella sua bellissima accezione etimologica cum patior: provare lo stesso sentimento, vivere le stesse emozioni di un altro.
Succede che talvolta una notizia, schizzata fuori da un trafiletto su un giornale o ascoltata con apparente disattenzione vagando per casa, con la tivù lasciata accesa, riemerga, dopo aver galleggiato nell'oceano del mio subconscio e mi induca a labirintiche passeggiate mentali.
Di recente, ma nemmeno poi tanto, il mondo dei media ha esondato, come purtroppo accade fin troppo spesso, spargendo metri cubi di melma maleodorante sul personaggio pescato a caso dall'ultimo numero uscito sulla roulette.
Non mi interessa citare nomi, c'è fin troppa storia sull'esigenza famelica di giocare al massacro. Poca importanza ha se chi capita nell'ingranaggio sia colpevole o innocente.
Meno significato ancora viene attribuito se, pur nel turbine degli eventi che centrifugano il personaggio famoso, questi, differenziandosi da tutti coloro che si siano trovati al centro di uno scandalo, abiuri alla propria carica pubblica e nonostante tutto dia prova di un barlume di etica.
E lì, l'esercito del popolo eletto, quanto informato non si sa, quanto competente nessuno può dire, sfoggia, nei luoghi più disparati, le proprie certezze, sfoderando informazioni così apparentemente attendibili che non c'è modo di controbattere. Si discute (o meglio si sparla) entrando in dettagli talmente privati da sembrare che cinquanta milioni di persone abbiano condiviso costantemente la vita di un personaggio, vicino sì in termini di chilometri, ma distante anni luce nella consuetudine del quotidiano.
Quella moltitudine è pronta a imbracciare il mitra e far fuoco su un uomo inerme, guidata da un ordine subliminale.
E se fosse innocente?
Ma questo non riguarda alcuno.
Perché porsi il problema? Non avete ascoltato allora tutto ciò che è stato detto a suo carico: bisogna intervenire, sradicare questa pianta malata, vergogna della società.
E lui?
Là dov'è, le notizie, quelle esterne, non arrivano più: nulla possono le urla e il clamore al di fuori di lui.
Il suono più intollerabile e assordante lo genera ciò che ha dentro: uno stridio raccapricciante che non gli consente nemmeno il beneficio della riflessione.
Apparentemente è un vigliacco, uno che ha seminato vergogna e infamia su di sé e su tutti coloro che gli stavano intorno.
Uno che, apparentemente, ha pensato soltanto a se stesso.
Può darsi. E chi siamo noi per giudicarlo?
Non c'è redenzione per tipi così: la soluzione è lapidarli.
Dimentichiamo con troppa facilità che, al momento di affondare, è andato a picco da solo.
Ho cercato di immedesimarmi (e non è stato facile) nel tormento delle ore interminabili di giornate in cui si ridimensiona il senso del tempo, in cui si comprende (se pur se ne era consapevoli) che la ruota della vita gira solo verso il futuro: per quanti sforzi si possano tentare, ciò che è stato è irreversibile e quel che vediamo davanti ci può solo fare paura.
Se sia stata ingenuità o paura o solitudine a dare inizio a tutto... chi può dirlo?
Certo è che ci troviamo a fare i conti con i nostri peggiori giudici: noi stessi! E di fronte alla nostra inflessibilità, dopo aver sacrificato quello che di più bello avevamo, possiamo solo tentare un compromesso.
Non ci cospargeremo il capo di cenere, non abbiamo necessità di mostrare alcunché all'esterno, desideriamo solo che qualcuno, un giorno, possa compatirci.
E sperare di estirpare le radici del convolvolo, quando spunteranno  sotto la scorza fragile della nostra anima, senza sentire troppo male.