domenica 27 novembre 2011

Una valigia di cartone affrancata con un avanzo di spago



Le telefonate si erano incrociate.
Univoco l'istante nel quale avevamo pensato: partiamo!
Facile a dirsi, ma tutte le vicende degli ultimi due anni avevano decisamente giocato a nostro sfavore.
Sicché quel partiamo ce lo eravamo quasi sussurrato.
Allora prenoto?
Prenota.
I fatti seguenti parevamo voler smentire l'eventuale incidenza di altre sventure (avevo trovato il luogo e lei tutti i treni, nei giorni giusti all'ora giusta), ma, capite bene, non si sa mai!
Tutto può mutare all'improvviso e senza preavviso.
Così i nostri sussurri erano diventati bisbigli e la parola partire era diventata vietata (ad alta voce) persino a noi stesse.
Sono passate le settimane, durante le quali, di nascosto (anche a noi stesse) preparavamo l'occorrente.
Il bagaglio suo (svenevole) si arricchiva di strani abbigliamenti, una via di mezzo tra Mary Poppins e la Regina Elisabetta: improbabili mise da sfoggiare all'occorrenza.
Il bagaglio mio (pratico) sfoltiva i capi d'abbigliamento, riducendoli all'essenziale, e riforniva la dispensa di gusti e cibi amarcord in stile Totò e Peppino a Milano.
Quando sono salita sul treno, anche allora non ero certa che ce l'avremmo fatta davvero a ritagliarci uno spicchio di primavera, perché lei sarebbe salita sullo stesso treno solo quattrocento chilometri più tardi.
Sono sul treno!
Non vedo l'ora di esserci anch'io!
E finalmente è salita: un abbraccio lungo due anni: lei, l'amica di sempre, quella a cui più che una bottiglia di Chanel pensi di portare un involto con dentro delle cicorie selvatiche e un pezzo di pecorino.
Quella che ti confessa ridendo sappi che non dormirei nello stesso letto con nessun'altra.
Ed è così che il mio trolley nuovo di zecca subisce una mutazione: diventa una vecchia valigia di cartone affrancata con un pezzo di spago: l'emblema sicuramente della povertà, ma della semplicità e dei sentimenti genuini, quelli che non sono stati scalfiti nemmeno dal trascorrere di quasi quarant'anni.