Le scarpe: ultimo modello, le
più richieste.
Solo calzarle, ti identifica.
Le scarpe. Di
che colore fossero state un tempo, era
difficile dirlo. Il nonno ci
aveva cucito sotto pezzi di
camere d'aria di un vecchio trattore in
disuso. Le
aveva preparate ben bene. L'indomani sarebbe
stato un
giorno importante.
L'indomani sarebbe stato il primo giorno di
scuola.
Si alzò. Era buio. Appena si
distinguevano in
lontananza le sagome possenti dei monti.
Indossò
quei buffi calzoni nè corti nè lunghi. Per
tenerli su, una striscia
di iuta. Una maglia rugosa
ornata da grandi toppe a quadrettoni sui
gomiti. E
per finire le scarpe, in cui il nonno aveva
provveduto a
mettere degli stracci perchè stessero
su, sui suoi piedi ancora
troppo piccoli.
Si sentiva un re!
Per merenda un grossa fetta di
pane ed una mela
annurca avvolte dentro un canovaccio.
Si avviò.
Corse giù per sentieri e
mulattiere. Arrivò nel
momento in cui Giuseppe, detto z' Peppe, il
vecchio
custode, spalancava il portone della piccola scuola
del
paese.
Un cenno del capo da Giuseppe. Un composto
"Buongiorno
z' Pe' ", ed entrò.
Una decina di vecchi banchi tarlati ed
una grossa
cattedra, al centro di uno stanzone. Si guardava
intorno.
Voleva appropriarsi di tutto in un solo
momento.
Arrivavano a
spiccioli i compagni di classe, tutti
bambini del paese, tutte facce
quotidiane.
Poi arrivò lei, la maestra. Dentro il suo viso,
brandelli di cielo di montagna.
La guardava. Lei non abitava tra
quei monti.
Veniva dalla città. Era il suo odore a dirlo.
All'ora di merenda, i compagni
sciamarono nel
cortile. Lui afferrò il canovaccio. Si avvicinò alla
cattedra. Lo poggiò sulla cattedra. Lo svolse.
Afferrò la fetta di
pane e la porse alla maestra.
Quei suoi pezzi di cielo si
schiarirono. Lei gli prese il
viso tra le mani e lui arrossì. Si
rianimò solo per
sussurrarle timidamente: " Mi chiamo
Bernardo".
"Era questo il modello che desiderava,
signore?".
Alzò appena gli occhi, guardò
la commessa che gli
stava sorridendo e le porse la mano. "Mi
chiamo
Bernardo" disse
Le scarpe. Di che colore fossero state un tempo, era
difficile dirlo. Il nonno ci aveva cucito sotto pezzi di
camere d'aria di un vecchio trattore in disuso. Le
aveva preparate ben bene. L'indomani sarebbe
stato un giorno importante.
L'indomani sarebbe stato il primo giorno di scuola.
Si alzò. Era buio. Appena si distinguevano in
lontananza le sagome possenti dei monti.
Indossò quei buffi calzoni nè corti nè lunghi. Per
tenerli su, una striscia di iuta. Una maglia rugosa
ornata da grandi toppe a quadrettoni sui gomiti. E
per finire le scarpe, in cui il nonno aveva
provveduto a mettere degli stracci perchè stessero
su, sui suoi piedi ancora troppo piccoli.
Si sentiva un re!
Per merenda un grossa fetta di pane ed una mela
annurca avvolte dentro un canovaccio.
Si avviò.
Corse giù per sentieri e mulattiere. Arrivò nel
momento in cui Giuseppe, detto z' Peppe, il vecchio
custode, spalancava il portone della piccola scuola
del paese.
Un cenno del capo da Giuseppe. Un composto
"Buongiorno z' Pe' ", ed entrò.
Una decina di vecchi banchi tarlati ed una grossa
cattedra, al centro di uno stanzone. Si guardava
intorno. Voleva appropriarsi di tutto in un solo
momento.
Arrivavano a spiccioli i compagni di classe, tutti
bambini del paese, tutte facce quotidiane.
Poi arrivò lei, la maestra. Dentro il suo viso,
brandelli di cielo di montagna.
La guardava. Lei non abitava tra quei monti.
Veniva dalla città. Era il suo odore a dirlo.
All'ora di merenda, i compagni sciamarono nel
cortile. Lui afferrò il canovaccio. Si avvicinò alla
cattedra. Lo poggiò sulla cattedra. Lo svolse.
Afferrò la fetta di pane e la porse alla maestra.
Quei suoi pezzi di cielo si schiarirono. Lei gli prese il
viso tra le mani e lui arrossì. Si rianimò solo per
sussurrarle timidamente: " Mi chiamo Bernardo".
"Era questo il modello che desiderava, signore?".
Alzò appena gli occhi, guardò la commessa che gli
stava sorridendo e le porse la mano. "Mi chiamo
Bernardo" disse
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